07.12.2020 – L’Economia del Corriere della Sera
di FABIO SAVELLI
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Guida l’Ilva e si prepara all’accordo con lo Stato, è in tutti i board caldi del sistema italiano: Atlantia, Tim, EssilorLuxottica. Ma ha evitato Mediobanca. “Sono pragmatica, è sempre andata bene”, spiega.
Dice di se stessa di “adorare le complessità”. La esaltano. Quando c’è un problema, “preferisce sorridere”. Tanto sa che anche nei momenti in cui è davvero preoccupata ha l’àncora di salvataggio. Gira la chiave della porta di casa, zona San Babila a Milano, ad accoglierla c’è da oltre 40 anni suo marito. Quando la vede scura in volto – capita di rado – le dice “tranquilla, se poi va male ti regalo una bici e andiamo a fare una passeggiata”. La bici non l’ha mai ricevuta. Perché – si schermisce – “professionalmente ho avuto una vita facile. È sempre andata bene”.
Il destino dell’Ilva
Lucia Morselli, 64 anni,è ora l’amministratore delegato di ArcelorMittal Italia. La poltrona più scomoda dell’industria italiana. Chiamata dalla famiglia Mittal a risollevare le sorti dell’Ilva ora si appresta a condividere il viaggio con il socio pubblico Invitalia. Lo Stato sta per tornare nella società che gestisce la più grande acciaieria d’Europa. Lo farà – in maggioranza – al termine del processo di riconversione ambientale a fine 2022. Lei – si dice negli ambienti romani – dovrebbe rimanere in sella per guidare la transizione, poi si vedrà. Conosce il mondo della siderurgia meglio di chiunque altro. Il governo lo sa anche se i sindacati non la amano poi molto per il suo carattere forte. Poco incline ai convenevoli. Laureata in matematica all’Università di Pisa si definisce “pragmatica”. Adora semplificare come fa il linguaggio dei numeri. Universale, perché abbatte le barriere linguistiche ed è fatto di simboli.
Poliglotta – ha vissuto ovunque da Singapore a Dubai, da Parigi a Rio de Janeiro, da Chicago a Doha – si è appassionata all’ebraico antico per “leggere la Bibbia nella lingua in cui è stata scritta”.
Il trascorso nel calcio
Questa ricerca di praticità – che coltiva come un mantra – le ha consentito di costruire un rapporto di stima con Rupert Murdoch durante la sua esperienza di top manager nell’industria televisiva del calcio. Prima in Telepiù, dove per la prima volta fu nominata consigliere delegato negli anni 90, poi nella concorrente Stream controllata da Canal+, traghettando poi la fusione di entrambe in Sky Italia, la tv satellitare del magnate australiano. Si è sintonizzata sulle sue stesse corde emotive perché chi viene dal niente si ricorda chi era e non si perde troppo nei sofismi. Dice che quando deve selezionare qualcuno – al netto delle competenze, quelle sì, necessarie – copia il teorema di Cesare Romiti: “Guardo le scarpe, se non sono comode non farà troppa strada perché non tiene i piedi per terra”.
Lei di strada ne ha fatta tanta se adesso è in tutti i board che contano, soprattutto quelli in cui lo Stato ha deciso di tornare prepotente nella gestione archiviando una lunga stagione di privatizzazioni.
Le nomine nei board
Di recente Morselli è entrata nel consiglio di Atlantia per vigilare sul riassetto societario che porterà i Benetton ad uscire dal capitale della controllata Autostrade. Siede in quello di EssilorLuxottica scelta da Leonardo del Vecchio per averla al fianco in quel “campo di battaglia” sulla governance che è stata – ed è tuttora – la fusione alla pari con i francesi.
Il fondatore della multinazionale di Agordo si dice l’apprezzi particolarmente, mentre i fondi di minoranza le hanno proposto un posto nel consiglio di Mediobanca che lei ha declinato cortesemente. Già siede in quello di Tim alle prese con un socio forte transalpino come Vivendi e con la costituzione di una società per la rete con Cassa depositi e fondi esteri. Identico schema di STMicroelectronics, il colosso dei semiconduttori joint-venture paritetica tra Italia e Francia, che vede dalla sua stanza dei bottoni. I suoi detrattori la definiscono talebana. Poco incline alla concertazione con i sindacati, anche se Susanna Camusso una volta le attribuì il merito di firmare gli accordi. A Terni è stato un banco di prova per lei che è cresciuta nella “rossissima” Modena a due passi dalla sede del Pci intitolata a Giuseppe di Vittorio. Guidava Acciai Speciali Terni, controllata dei tedeschi di ThyssenKrupp che l’avevano già venduta. L’Antitrust Ue si mise di traverso e arrivò lei col mandato di trovare una soluzione all’impianto fiore all’occhiello della produzione di acciaio inox.
La vertenza di Terni
Cominciò un muro contro muro durissimo con i lavoratori. A mediare il governo Renzi. Trentacinque giorni di sciopero, i blocchi ai tir in autostrada. La vertenza più mediatica degli ultimi anni si risolse con un colpo di scena. Era appena stata chiusa 36 ora in ufficio per l’occupazione dell’azienda ma dopo una cena con alcuni notabili decise che doveva andare dai “suoi operai” in picchetto. Tre ore di confronto durissimo fuori lo stabilimento. Ne uscì trionfante. L’azienda tornò in utile, l’impianto non chiuse, a Terni le chiesero perfino di candidarsi a sindaco. Prendendo in prestito il culto dell’azienda “come garante della libertà perché sintesi tra opinioni diverse”, ha ricordato di recente commemorando l’operaio Guido Rossa ammazzato dalle Br.
Il resto è storia recente. La siderurgia è il suo mondo, perché lo è la complessità dell’industria. Retaggio della sua prima esperienza da direttore finanziario nella divisione aeroplani di Finmeccanica, ora Leonardo, dove ha imparato il senso del saper fare dopo aver lavorato in Olivetti ed Accenture.
Dell’ingegneria che realizza prodotti complicatissimi fatti di anni di ricerca e sviluppo. La carriera accademica – che si era prefigurata da ragazza – l’ha accantonata proprio per questo. L’ambizione di volersi sporcare le mani creando lavoro, benessere, progresso tecnologico. Col senso – futurista – della velocità.
Dice che a meno di 200 chilometri all’ora – a bordo di una monoposto Ferrari che ha avuto modo di guidare sulle piste della sua Fiorano – significa “star fermi”. Un’altra icona del made in Italy che dovrebbe renderci orgogliosi. Per questo dice di avere “il passaporto più bello del mondo”. Perché tutti ci invidiano per il nostro modo di essere e per il nostro stile di vita. Dovremmo ricordarcene. Lei lo fa soprattutto quando osserva il teatrino della politica e dei palazzi romani, che per forza di cose incontra.
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